Un'ora a Gallicianò
Nella Calabria grecanica è possibile vivere esperienze indimenticabili, tra paesini arroccati, lingua greca e fusioni culturali.
di Prof.ssa Anna Perri con le classi VA SU e VC SU, Liceo Statale "T. Gulli" di Reggio Calabria
Arriviamo a Gallicianò in una assolata mattina di luglio. La strada per raggiungerlo non è agevole, soprattutto per chi, come noi, vi giunge per la prima volta. Dopo una serie di curve, però, ci appare il piccolo gruppo di case, e un cartello ci annuncia che siamo giunti a destinazione.
Ci fermiamo in uno spiazzo e, intenti a osservare la gradinata di accesso a quella che sembra essere la chiesa principale, sentiamo una voce alle nostre spalle. Un signore, con un sorriso aperto e cordiale, ci dà il benvenuto. Ci porge la mano, ce la stringe, facendoci subito capire quanto l’ospitalità sia, qui, di casa. Sa che siamo lì per conoscere, per capire, così inizia a descrivere con parole appassionate le bellezze di quel piccolo borgo che lui definisce “musicale”.
L’armonia, in effetti, sembra regnare in quelle stradine, a tratti scoscese, e fra quelle case, molte delle quali apparentemente disabitate.
Una di quelle stradine ci conduce su fino al teatro e alla chiesa ortodossa Panaghìa ti Elladas. Da lì si apre la vista sulla vallata, e il nostro cuore si incanta di fronte ad uno dei paesaggi più belli dell’Aspromonte.
Comincia a far caldo e ci sembra una benedizione la Fontana dell’Amore, una sorgente d’acqua davanti alla quale ci immaginiamo coppie di innamorati che “rubano” qualche incontro e, chissà, anche qualche bacio.
Gli abitanti, ci viene detto, sono ormai davvero pochi, ma in estate quelle viuzze si animano spesso di rumori, melodie, presenze, soprattutto in occasione delle manifestazioni musicali e culturali del “Paleariza”, un festival che mira proprio alla valorizzazione delle aree interne dell’Aspromonte grecanico.
Passeggiando insieme al nostro cicerone, riflettiamo su come la conservazione e la tutela del patrimonio culturale di questo territorio stiano riuscendo, soprattutto negli ultimi anni, a trovare strade colorate, vivaci e allegre.
Da una finestra fa capolino un viso: un vecchietto che ci sorride. Esce per salutarci, un po’ malfermo sulle gambe, accompagnato dalla nipote. Gli chiediamo di raccontarci qualcosa di sé. Inizia a narrare in un italiano semplice con qualche inserto dialettale. Ci dice che in paese tutti lo conoscono come “Cicciu ‘u curtu”, il soprannome, o la ‘ngiuria, come si dice da queste parti, che gli è stato attribuito a causa della sua altezza.
Ci fa dono di qualche frase in grecanico, ci racconta di essere un artigiano del legno, un intagliatore, un artista diciamo noi.
Ci mostra orgoglioso alcuni oggetti da lui stesso realizzati, un mortaio, un piccolo telaio, una “musulupa”, che serviva per dare forma alla ricotta nel periodo pasquale. Ci racconta della sua infanzia, del lavoro nei campi, dell’asino come unico mezzo di trasporto, dei raccolti di castagne, noci, granturco, di come tutti, in famiglia, parlassero solo grecanico e di come, invece, forse sbagliando, ammette, abbia deciso di non trasmetterlo ai propri figli. Le parole vengono fuori a volte biascicate, la nipote e la nostra guida lo supportano e ci traducono ciò che noi non capiamo, ma pur non comprendendo tutto, quei racconti ci sembrano nenie, e i suoni delle sue parole arrivano al nostro orecchio come note musicali.
Lo ringraziamo e gli diciamo arrivederci con una stretta di mano, ma avremmo voluto abbracciarlo per la generosità e la cordialità che ci ha riservato.
Ritorniamo al punto di partenza, saliamo i gradini che ci conducono alla chiesa cattolica di San Giovanni Battista, patrono del paese, i cui festeggiamenti avvengono il 29 agosto.
Al suo interno è conservata una statua in marmo del Santo, opera settecentesca della scuola del Gagini, oltre a due antiche acquasantiere, e due campane datate 1508 e 1683.
Salutiamo con sincera riconoscenza quel signore che ci ha accolto, accompagnato, spiegato, sorriso, ma a cui abbiamo dimenticato di chiedere il nome. Lo ringraziamo così, da qui, per averci fatto vivere un momento indimenticabile in un borgo fuori dal tempo, che, allontanandoci, ci appare un antico, piccolo gioiello incastonato in quell’assolato, incantevole, costone d’Aspromonte.
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